Il 22 maggio 2017 si è chiusa la meravigliosa esposizione « La fabrique d’exils » del fotografo Josef Koudelka, al Centre Pompidou di Parigi.
“ Essere un esiliato comporta azzerare tutto, è un’opportunità che mi è stata data.”
È così che Koudelka parla del suo peregrinare attraverso l’Europa, un’esilio iniziato nel 1970, quando a seguito dell’invasione sovietica è costretto a lasciare la Cecoslovacchia.
Fra gli anni ‘70 e ‘80, il fotografo vive letteralmente come un nomade. L’inverno soggiorna a Londra e poi a Parigi, dove sviluppa e stampa il proprio materiale fotografico.
Éditer
Durante la bella stagione invece, viaggia ininterrottamente per fotografare, luoghi, genti, feste popolari, vita di gitani: Italia, Spagna, Inghilterra.
Nelle sue immagini non c’è tanto un interesse etnografico, quanto lo sgurdo dell’esiliato, di colui che vive un’esperienza di vita che è quella della gente in viaggio, sulla strada.
Così ha inizio la serie Exils, apparsa per la prima volta in edizione completa nel 1988, a cura dell’editore Robert Delpire.
L’esposizione, la prima dopo 30 anni, raccoglie le 75 opere donate dall’autore al Centre Pompidou, e da modo di ammirare una serie di inediti e di straordinari autoscatti. Quest’ultima serie “Réveils” è la più sorprendente in quanto dimostra l’essenza stessa dell’esilio. Il fotografo cattura i suoi giacigli notturni, il suo sacco a pelo posato su una spiaggia o su un campo, quando dorme all’aperto; posa la fotocamera a terra per ritrarre sè stesso o i suoi piedi, e il contesto in cui ha passato la notte: un diario visuale del suo nomadismo.
L’esposizione è aperta da una delle immagini più emblematiche del suo esilio che esprime un momento sospeso, d’attesa. Piazza San Venceslao, all’indomani dell’invasione russa, è deserta; un braccio entra nell’immagine per mostrare l’orologio. All’ora indicata è prevista una manifestazione. Ma è una trappola. Il popolo lo sa e pertanto nessuno si presenta all’appuntamento. È ora di lasciare il proprio paese.